Illegittimo. Così il
Tar del Lazio, sezione seconda bis, ha definito il ventennale
silenzio del
Ministero dell’Ambiente in materia di
assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani,
in una sentenza nella quale si obbliga l’ente di via Cristoforo Colombo ad adottare,
entro un termine massimo di 120 giorni,
il decreto ministeriale atteso ormai dal lontano 1997, ovvero dall’anno dell’entrata in vigore del cosiddetto “decreto Ronchi”. È da quella data infatti che il Ministero avrebbe dovuto definire i
criteri qualitativi e quantitativi in base ai quali
i comuni (che dovrebbero gestire solo i rifiuti prodotti dalle utenze domestiche) possono far rientrare nei confini della loro
privativa
anche alcuni tipi di rifiuti speciali prodotti dalle attività
artigianali, industriali o commerciali – soprattutto imballaggi – che di
norma non dovrebbero essere gestiti dal servizio pubblico ma smaltiti o
avviati a recupero in proprio dalle imprese, affidandoli agli operatori
privati della raccolta rifiuti.
In assenza di regolamentazione nazionale, negli ultimi vent’anni ogni
comune ha adottato il proprio regolamento di assimilazione
in totale autonomia, con l’obiettivo, secondo associazioni di categoria come
Cna, Federdistribuzione e Assoambiente che da tempo si battono per l’adozione del decreto ministeriale, di riportare il più possibile i rifiuti speciali
entro i confini della privativa comunale. Con ricadute importanti sul fronte
fiscale per le aziende produttrici di rifiuti, spesso costrette dai meccanismi di assimilazione a pagare
tributi vertiginosi, e su quello della
concorrenza
per le aziende della raccolta, che l’eccessiva assimilazione priva di
materia preziosa da raccogliere e avviare a trattamento. Motivo per cui,
negli ultimi vent’anni, il caso assimilazione è stato al centro di un
numero elevatissimo di contenziosi in sede amministrativa.
Come quello conclusosi lo scorso aprile con la sentenza in questione,
che ha visto condannati oltre al Ministero dell’Ambiente, anche il
Ministero dello Sviluppo economico e il Comune di Reggio Emilia. I tre enti erano stati chiamati in causa lo scorso novembre da
un’azienda bolognese operante nel settore rifiuti, attiva soprattutto sul fronte della raccolta e avvio a riciclo della
carta da macero, che aveva presentato ricorso «lamentando – scrive il Tar nella sentenza – di essere
gravemente danneggiata, in termini di
ingiusta sottrazione di risorse e beni al mercato privato e di elevato versamento Tari, dalla
eccessiva assimilazione
dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani effettuata dalle Amministrazioni
comunali a causa della mancanza di una regolamentazione ministeriale»
prevista dall’articolo 195 del d.lgs. 152/2006, il cosiddetto Testo
unico ambientale, e prima ancora dal d.lgs. 5/1997 (il decreto Ronchi,
appunto) all’articolo 18, comma 2, lettera d.
«Il Ministero dell’Ambiente – si legge nella sentenza – pur tenuto ad
adottare la regolamentazione suddetta, risulta non avere ancora
completato l’iter relativo, avendo soltanto avviato “le
attività propedeutiche all’adozione del decreto in questione”» cosa che «rende
illegittima l’inerzia tenuta dal Ministero»,
che per questo motivo, hanno stabilito i giudici, dovrà adottare «di
concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico il decreto che fissi i
criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani,
nel termine di giorni 120»
dalla data della sentenza. Entro ferragosto insomma, e dopo vent’anni
di attesa, il regolamento potrebbe finalmente vedere la luce.