Plastica negli oceani: primi test nel 2016 per Ocean Cleanup Array

Plastica negli oceani: primi test nel 2016 per Ocean Cleanup Array
Due anni fa Boyan Slat, studente diciannovenne presso la Facoltà di Ingegneria Aerospaziale della Delft University of Technology annunciava la creazione di Ocean Cleanup Array, l’invenzione che sembrava finalmente rappresentare una soluzione per il grave inquinamento causato dalla presenza di plastica negli oceani. L’inventore aveva abbandonato gli studi e dato vita a The Ocean Cleanup Foundation, con lo scopo di realizzare, in crowdfunding, il progetto.

Si trattava di una struttura costituita da un nucleo centrale con capacità di filtraggio, in grado quindi di separare i rifiuti raccolti dal plancton, e da due lunghi bracci galleggianti che convogliano i rifiuti captati verso la parte centrale. Allora si parlava della capacità di rimuovere 7.250.000 tonnellate di rifiuti in 5 anni. Slat dichiarava infatti che in 5 anni sarebbe stato possibile eliminare completamente, uno dei 5 vortici dell’oceano Pacifico, che per la loro dimensione vengono chiamati “isole di plastica”.
Il progetto aveva suscitato parecchi dubbi soprattutto da parte del mondo scientifico, ma in questo periodo, in cui non se ne è più sentito parlare è stato sottoposto ad uno studio di fattibilità realizzato da un team costituito da un centinaio tra scienziati ed ingegneri. Secondo questo studio il congegno sarebbe in grado di eliminare quasi metà della Great Pacific Garbage Patch in un periodo di circa 10 anni. Una potenzialità quindi minore di quella che era stata prevista, ma comunque rilevante.
Tanto che per il secondo trimestre del 2016 è prevista la realizzazione di un progetto pilota che durerà due anni e che verrà messo all’opera al largo della costa di Tsushima, un’isola che si trova tra il Giappone e la Corea del Sud e che a causa delle correnti vede confluire sulle sue coste una grande quantità di rifiuti in plastica. Il prototipo di Ocean Cleanup Array sarà dotato di bracci dalla lunghezza di 1000 metri ciascuno, per un totale di 2000 metri di ampiezza, ma se la cosa funzionerà sarà possibile aumentarla fino a circa 10 chilometri.
Restano i limiti che rendono l’invenzione inutile per quando riguarda le microplastiche: Tony Haymet, professore allo Scripps Institution of Oceanography presso l’Università di California di San Diego sostiene che nessun sistema sia attualmente in grado di estrarre le microplastiche, che a detta del professore sono anche quelle più dannose perché ingerite in grandi quantità: entrano nello stomaco e nei tessuti di molte specie marine, venendo introdotte all’interno delle catene alimentari.
Slat al contrario ritiene che sia un sistema abbastanza efficace, dal momento che la maggior parte dei rifiuti che galleggiano nell’oceano, come rilevato in diverse spedizioni, si trova in superficie, nei primi due metri d’acqua di profondità e verrebbero così intercettati.

Tutti sono concordi comunque sul fatto che al di là dell’efficacia di Ocean Cleanup Array, il modo migliore per ridurre la quantità di plastica negli oceani debba essere la sua riduzione a priori nelle fasi di produzione e un’attenzione particolare alle pratiche del riciclo. Il mondo politico e dell’economia deve essere sollecitato su questo importante e non più prorogabile punto, visti i danni ormai accertati alla vita animale acquatica, ma anche alla nostra salute.



[leggi tutto su GREENSTYLE]








[visita il sito OCEANCLEAUP]